Ne “La mercificazione dell'assenza”, l'etichetta diventa il principale veicolo di significato, non l'immagine, costringendo lo spettatore a dare per scontata l'autorità istituzionale dell'etichetta. Ho trasformato la tela in un meta-commento sui sistemi dell'arte. Questo quadro/scultura critica la dipendenza del mondo dell'arte dalla documentazione, dai metadati e dalla provenienza come generatori di valore, e imita qualcosa di reale pur non contenendo nulla, diventando così qualcosa. Mette in evidenza l’importanza dell’inquadramento istituzionale piuttosto che dell'immagine, della credenza, dell'aspettativa e della finzione del mercato. Questo lavoro indaga il modo in cui il significato viene costruito, comprato e venduto, come l'assenza viene monetizzata e come noi siamo complici di tutto ciò.